di Giustino Mezzalira
Accademico olimpico e Direttore Sezione Ricerca e Gestioni Agro-Forestali Venetoagricoltura

Quale che sia la sua origine, stiamo assistendo ad un rapido cambiamento del clima che avrà profonde conseguenze sulla nostra vita e sull’ambiente che ci circonda. In attesa che le nuove tecnologie e le politiche di mitigazione ci permettano di ridurre in modo drastico le nostre emissioni di gas ad effetto serra, non ci resta altro che adattarci, rendendo la nostra società ed il nostro territorio più resilienti. È il semplice buon senso che ci invita a farlo anche perché, che lo vogliamo o no, è certo che noi e chi verrà dopo di noi vivrà in un mondo climaticamente (e non solo!) molto diverso da quello odierno.

In fondo, a pensarci bene, non c’è nulla di nuovo in questa prospettiva: da quando gli uomini hanno iniziato ad incidere in modo significativo sull’ambiente circostante (prima con la caccia, poi con l’agricoltura ed infine con l’industrializzazione), hanno dovuto continuare ad adattarsi alle nuove condizioni da essi stessi create.

In termini ancora più generali, è l’intera vita che da sempre modifica il pianeta che la ospita e si adatta alle condizioni ambientali di volta in volta create.

Ad essere nuova e sconvolgente è la crescente velocità del cambiamento generato dall’uomo a partire dalla rivoluzione industriale (circa 200 anni fa) e dal suo utilizzo sempre più massiccio di fonti fossili di energia (prima carbone, poi petrolio ed infine gas naturale). Come i nani nella trilogia di Tolkien, abbiamo liberato dalle viscere della terra una forza immensa che ora non riusciamo a controllare e che ci impone di reagire per difendere il nostro mondo: abbiamo riportato in atmosfera, nel volgere di pochi decenni, quanto le era stato sottratto in centinaia di milioni di anni attraverso la fotosintesi e sotterrato attraverso i processi geologici. Secondo l’Ipotesi di Gaia di James Lovelock, ciò era stato fatto perché favorevole alla vita: a Gaia il pianeta piace freddo!

La parola adattamento dovrà toccare ogni aspetto della nostra vita quotidiana: dall’accumulare l’acqua quando è abbondante per disporne quando scarseggerà, al programmare il territorio in modo da creare aree esondabili nei momenti in cui i fiumi non possono più contenere le piene; dal migliorare l’isolamento dei nostri edifici per difenderci dalle ondate di calore, alla cura maniacale del territorio per rendere le aree edificate più sicure; dal coltivare piante agrarie adatte a climi più caldi (ad esempio sostituendo il mais con il sorgo), all’infoltire i nostri boschi con provenienze più meridionali delle specie indigene.

Cambiare non necessariamente vorrà dire “andar in peggio”. Anzi. Per molte imprese cambiare vorrà dire esplorare nuovi mercati e magari uscire dalla crisi delle attività tradizionali che non hanno futuro. Come sempre, chi arriverà prima – come individuo, come impresa, come comunità – potrà avere dei vantaggi. L’adattamento al cambiamento climatico, in definitiva, potrà essere un’opportunità … se agiamo per tempo.

Non pensarci per tempo invece è semplicemente da pazzi: MAD! Guarda caso l’acronimo del progetto sul cambiamento climatico che l’Accademia Olimpica sta proponendo alla comunità vicentina e che è stato al centro anche di un ciclo di incontri fra marzo e maggio.

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