IL QUARTO D’ORA ACCADEMICO
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Il comandante “Silva”

di Alba Lazzaretto
Già docente dell’Università di Padova

Voglio ricordare, per questo strano, allucinato 25 aprile 2020, Francesco Zaltron, nome di battaglia “Silva”, un partigiano di Marano in provincia di Vicenza, stroncato nel 1945, nel fiore della sua giovinezza, dalla violenza e dalla brutalità nazifascista. Lo voglio ricordare non solo per la sua fama di eroe che ancora si conserva tra le genti delle sue valli, ma anche perché era un ragazzo che voleva diventare medico, per fare “qualcosa di buono per gli altri”. Un modo quindi per rendere onore anche ai medici che, ora, combattono una battaglia diversa, ma con lo stesso ardimento e sacrificio.

Su Silva sta per essere pubblicata una biografia scritta da Liverio Carollo: un agile volumetto per cui ho scritto la prefazione, appassionandomi per le vicende, la personalità, gli ideali di questo partigiano. La storia della sua vita può insegnare ancora molte cose, soprattutto ai giovani, ed è per questo che vorrei brevemente narrarla.

Silva – come ancora lo ricordano gli anziani del suo paese, – era un “bel moreto”, dal volto fine, lo sguardo intenso, il carattere deciso. Era iscritto alla Facoltà di Medicina dell’Università di Padova, ma riuscì a dare solo pochi esami, perché fu richiamato alle armi e dovette frequentare la scuola per allievi ufficiali di artiglieria alpina, a Gradisca e poi a L’Aquila. Ma a Francesco non andava certo a genio quell’Italia tronfia, antisemita, violenta, che si cercava di inculcare nelle menti dei giovani di allora.

Certo a Padova, nell’Ateneo di Concetto Marchesi e di Egidio Meneghetti, Francesco aveva respirato aria di libertà. Ma lo animava soprattutto uno spirito di profonda umanità, la volontà di essere utile al prossimo, che è un’altra delle componenti che si può ritrovare nell’animo veneto: del Veneto cattolico, che Silva aveva conosciuto negli studi giovanili, e del Veneto laico, quello di Antonio Giuriolo, un’altra figura mitica della Resistenza vicentina, il protagonista dei Piccoli maestri di Luigi Meneghello.

L’8 settembre del ‘43 Francesco si trovava a Forlì, e da lì fugge in bicicletta, torna nella sua casa a Marano, ma subito si dà alla macchia, sui monti della pedemontana vicentina.

Raduna ben presto intorno a sé parecchi giovani, alcune centinaia, che guida soprattutto in azioni di sabotaggio e nella ricerca di armi da sottrarre ai fascisti, divenendo in breve il comandante del gruppo di montagna della Brigata Mazzini. C’erano tra i suoi partigiani anche giovani donne che facevano da staffette e fornivano basi logistiche.

Ma anche la gente del posto gli dava supporto: i malgari, ad esempio, che vivevano nelle povere “casàre” della pedemontana vicentina, gli offrivano quello che avevano, polenta e formaggio, ed è questa una testimonianza importante della Resistenza come azione corale, spesso sommessa, ma diffusa.

Silva era in contatto con alcune delle figure più belle della Resistenza vicentina che operavano tra l’Altopiano di Asiago e la pedemontana, da Giacomo Chilesotti, a Rinaldo Arnaldi, a Giovanni Carli.

Per la sua capacità organizzativa, per la spiccata personalità, per il suo spavaldo ardimento Silva diviene subito una figura carismatica, rispettata dai capi delle altre brigate. È un capo “laico”, che non si vuole legare né ai comandanti comunisti né a quelli cattolici, ma che rispettava tutti e da tutti era rispettato.

Nel settembre del ’44 Silva con il suo battaglione era accampato in una zona di montagna poco difendibile, a Granezza, sugli spalti meridionali dell’Altipiano dei Sette Comuni. Molti partigiani del posto gli avevano consigliato di andarsene, di scappare, di sfuggire al rastrellamento nazifascista.

Ma Silva decise di resistere, proprio lì, nel Bosco Nero di Granezza, anche se la zona era molto rischiosa.

Forse pensava – chi lo sa – a Leonida e ai trecento Spartani, forse pensava che rimanendo lì avrebbero in ogni caso impegnato le forze nemiche per qualche tempo, impedendo ai nazifascisti di combattere in altre zone.

Fu una carneficina.

Silva rimase ferito, si salvò fortunosamente fingendosi morto, nascosto in una buca. Aiutato da un compagno, riuscì a fuggire.

Guarì, riprese la lotta.

Nel lungo inverno del ‘44-‘45 aveva persino organizzato un “centro stampa”, nascosto in una grotta sotto una fratta di castagni, per fare controinformazione, e diffondere tra la gente le idee dei partigiani.

Ma fu catturato, con alcuni compagni, torturato nella caserma della Guardia Nazionale Repubblicana al Bosco di Thiene. Si finse domato, disse ai suoi carnefici che li avrebbe condotti nei luoghi dove i partigiani nascondevano le armi.

Durante il tragitto, pur con le mani legate, si gettò giù dal camion, cercando la fuga. Ma lo ripresero e, inferociti per la beffa, i nazifascisti andarono a bruciare le case della povera gente, tra cui quella di Marcella Brazzale, la donna che lo aveva nascosto. Con Silva ferito e tramortito sul camion, i nazifascisti andavano in cerca di vendetta.

Ma ecco, i compagni di Silva tendono infine un’imboscata, fermano il camion, e Silva, ferito e con le mani legate, tenta di nuovo la fuga lungo i ripidi pendii che tanto amava.

Lo raggiunsero, lo finirono.

Appesero poi il suo corpo ad un noce, nei pressi delle case dei Dardini, a Mortisa, come monito ai paesani che lo avevano aiutato.

Fu l’ultimo insulto e anche la sua gloria.

Il nome di Francesco Zaltron, Silva, ora è inciso sulla lapide degli eroi, all’ingresso del palazzo del Bo, la sede centrale dell’Università di Padova.

Di fronte ai nomi degli eroi veglia la statua del “Palinuro”, la splendida scultura che Arturo Martini volle dedicare ai partigiani che, come Palinuro, il nocchiero di Enea, videro le sponde dell’Italia, ma non la raggiunsero.

La biografia di Silva si conclude con l’invito ai giovani a ripercorrere le sue orme, anche materialmente, calpestando i sentieri che videro le lotte di Silva e compagni. Un invito a studiare la storia “con i piedi”, oltre che con la testa e col cuore, per raccogliere il testimone più prezioso che Silva ci ha lasciato, cioè l’invito a fare qualcosa di buono, in questo mondo.

silva 1

Riproduzione di una fotografia di Francesco Zaltron di cm. 6,5×8,5 datata 1° settembre 1943

lettera 12071945

Riproduzione nota manoscritta di Doppio Maria ved. Zaltron datata 12 luglio 1945

scheda fr 13091946

Riproduzione notizia manoscritta di Maria Zaltron datata 13 settembre 1946 (Nota: nel documento è errata la data di morte di Francesco Zaltron (Silva), che avvenne il 30 marzo 1945, non nel 1944).

NOTA
I documenti sono conservati nell’Archivio storico Università degli Studi di Padova – ASUP, Lauree ad honorem studenti caduti nella prima e nella seconda guerra mondiale, fasc. Zaltron Francesco. Sono pubblicati su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale, che sentitamente ringraziamo.

UNA CANZONE PER SILVA
A Silva hanno dedicato una bella canzone il cantautore vicentino Luca Bassanese e il musicista e produttore Stefano Florio. Ecco il video del brano, con i disegni di Elena Meneghetti.