IL QUARTO D’ORA ACCADEMICO
#iorestoacasa
Rifessioni sull’intervento di Mario Richter
di Gaetano Thiene
Presidente dell’Accademia Olimpica
Professore emerito dell’Università di Padova
Le riflessioni di Mario Richter sull’immortalità, in tempi in cui la sopravvivenza del nostro corpo è minacciata da una pandemia virale, sono profonde, dotte e stimolanti. Non mi voglio sottrarre alla sfida, ringraziandolo di aver riportato il pensiero da me espresso nella recente lettera sul tema agli accademici.
Sono un scientist, medico e cultore di Storia della Medicina profondamente convinto che la parola dei poeti e degli artisti sia più importante di quella degli scienziati.
Partendo dalle sue parole, dunque, propongo a mia volta alcune riflessioni.
1) Non è certo l’immortalità del corpo quella a cui l’accademico Richter si riferisce. Ciò a cui si può tendere realisticamente è vivere più a lungo e meglio (benessere e felicità), attraverso prevenzione, diagnosi e cura delle malattie, senza handicap fisici e mentali. Lo sviluppo delle conoscenze ha permesso di conseguire risultati molto significativi, che possiamo rivendicare con orgoglio.
2) Attenti però a non peccare di presunzione o superbia. C’è bisogno di umiltà, e non necessariamente per credere ai miracoli. La stessa Medicina contemporanea riconosce che l’aspettativa di vita massima è di cent’anni o poco più. Le scoperte e le invenzioni sono state lo strumento per raggiungere questo successo, frutto comunque dell’intelligenza propria dell’homo sapiens. Pensiero e coscienza (= spirito), quindi, non potranno mai essere sostituiti dalla cosiddetta intelligenza artificiale. Sarà mai un computer in grado di pensare? Le connessioni elettroniche potranno mai funzionare come quelle neuronali del nostro cervello?
3) C’è un altro modello di immortalità, oltre a quello della rivelazione a cui Richter fa riferimento. Il cardinal Bessarione, che salvò centinaia di manoscritti della Scuola di Atene dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, così scriveva nel 1468: “In assenza dei libri, la tomba stessa che contiene il corpo finirebbe per cancellare la memoria dell’uomo”. L’invenzione della stampa da parte di Gutenberg, nello stesso 1453, garantì divulgazione e informazione.
4) Vesalio, di cui Richter ricorda il motto “Vivitur ingenio, caetera mortis erunt” (Si vive con la mente, il resto sarà della morte) rappresenta questo mito dell’immortalità, insieme al suo predecessore anatomista e “ingegnero” Leonardo. Siamo alla svolta rinascimentale e umanistica della storia dell’umanità, quando l’interesse della Filosofia si sposta dalla Metafisica alla Fisica, quest’ultima intesa come Filosofia Naturale. Conoscere come è fatto il corpo umano, come funziona e come si ammala diventa l’interesse della Scuola Medica Patavina per due secoli, fino a Giovanni Battista Morgagni.
5) Il fine ultimo di questi straordinari uomini, intelligenti e liberi, era di conoscere la natura impiegando il “ben dell’intelletto” proprio dell’homo sapiens. Sarà la base di quell’empirismo che culminerà nel metodo sperimentale di Galileo, filosofo naturale per eccellenza e precursore dell’Illuminismo francese del secolo successivo e dell’interesse per le Scienze Naturali. L’immortalità è quella dello spirito (“ingenio” o mente) e dei suoi prodotti. Siamo a immagine e somiglianza di Dio.
6) Termino con una analogia. Il coronavirus prende il nome dall’aspetto a spine della sua capsula. Corona di spine è anche quella di Gesù sulla croce, di cui a Vicenza custodiamo una reliquia nella chiesa di Santa Corona: la spina che Luigi IX, re di Francia, donò a Bartolomeo da Breganze, Vescovo di Vicenza. Entrambi sono diventati simboli religiosi immortali. Quando riusciremo a liberarci dal coronavirus, allora, la chiesa di Santa Corona potrebbe diventare sede di culto anche per la guarigione da questa terribile pestilenza, come avvenne a Venezia con le chiese del Redentore nel 1577 e della Salute nel 1631.
D’altra parte, è facile immaginare che, dopo il dolore e lo spaesamento, tutti noi cercheremo di dimenticare quanto più rapidamente possibile il coronavirus, spina venuta a incidere nel profondo le nostre sicurezze, il nostro sentirci invincibili. Non facciamolo, invece. Non dimentichiamocene. Conserviamone la memoria come simbolo della nostra fragilità: uno stimolo per la nostra ragione, un richiamo per il nostro spirito.