IL QUARTO D’ORA ACCADEMICO
#iorestoacasa

di Luciano Morbiato
Già docente all’Università di Padova

I. Fogazzaro al cinema

L’occasione per questa nota “pionieristica” su Fogazzaro spettatore di cinema è la presentazione in Accademia dei tre volumi contenenti le sceneggiature originali e quelle desunte dai film che il regista Mario Soldati ha realizzato tra il 1940 e il 1947 dai romanzi di Antonio Fogazzaro: Piccolo mondo antico, Malombra e Daniele Cortis (tutti a cura di Alberto Buscaglia e Tiziana Piras, Cermenate (Como), New Press Edizioni, 2014, 2015 e 2018). Mi servo di una delle tante lettere ai famigliari conservate nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza, lettere preziose, anche se in modo diverso rispetto a quelle indirizzate dallo scrittore ai colleghi o alle corrispondenti e lettrici; l’ho adocchiata fortuitamente il 15 febbraio 2011, giorno dell’apertura del plico rimasto secretato e finalmente aperto a 50 anni dalla morte dello scrittore (e ora catalogato e conservato, ma non ancora studiato sistematicamente); ora la trascrivo per intero:

Roma 9 maggio 1907 [carta intestata del Senato] / Carissimi, iersera mi deliziai per venti minuti a un cinematografo del Corso e poi me n’andai pacificamente a letto. Non ho lavorato, non so neanche scriver lettere, mi esaurisco nel tedio del consiglio superiore. Ho più volte visto Ortali, non ancora Molajoni, né Durlo. Scrivo che si lascino vedere. E scrivo a Larcher di venire domani, venerdì, a far colazione con me. Al Senato non si parla, quando finirà il Consiglio non si può ancora dire. vorrei che Maria mi scrivesse più a lungo tutte le chiacchiere che le vengono in mente. Né Scotti né Pestalozza verranno a Roma. Scotti è turbatissimo, ma cosa fare non sa né mi domanda consiglio. Intanto m’intesi, circa lo Statuto, con Barzellotti e sto per invitare a una lettura il Le Roy, filosofo cattolico. Da che sono qui non è caduta una goccia d’acqua. Fa bello e caldo. Vi abbraccio. (BBV, CFo 13r, b. 24, pl. 1, f. 2, n. 37).1

La testimonianza del senatore che si confessa spettatore cinematografico è unica e, a suo modo, importante: Antonio Fogazzaro era stato nominato senatore del Regno nel 1896, ma ebbe la convalida solo quattro anni dopo; in seguito, divenne membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione; uno dei suoi rari interventi, durante la discussione di una legge sull’istruzione pubblica, nel luglio 1904, aveva riguardato «l’importanza civile e politica dell’istruzione religiosa», ma i riferimenti al lavoro parlamentare disseminati nelle lettere sono rari e spesso associati, come in questo caso, alla noia delle sedute, mentre risultano in primo piano i contatti con i fautori della riforma nella Chiesa.
Sempre nel maggio 1907 – a un anno dalla condanna all’Indice del suo romanzo Il Santo (uscito alla fine del 1905), da lui accettata per obbedienza di cattolico – in una accorata lettera da Roma indirizzata a uno dei corrispondenti che più ricorrono nell’epistolario fogazzariano, monsignor Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, Fogazzaro si lamentava che la Congregazione dell’Indice non avesse «voluto tener conto del martirio … subito per obbedirla».2 Nella polemica del momento lo scrittore veniva infatti tacciato di servilismo verso l’autorità religiosa dagli anticlericali (come Vittorio Morello, che si firmava “Rastignac” sulla «Tribuna»), mentre veniva condannato sull’«Osservatore Romano» insieme a coloro che «si atteggiano a maestri e dottori della Chiesa», cioè ai fautori e seguaci della riforma della Chiesa, i “modernisti” (in altra occasione egli aveva poeticamente espresso il suo rammarico con i versi di «Ogni plebe m’insulta e rossa e nera»).

Tornando alla lettera alla figlia Maria, mi chiedo: quale cinematografo aveva accolto l’amareggiato e annoiato senatore? Posso solo ipotizzarlo, aiutandomi con la stampa del tempo: sul quotidiano romano «Il Giornale d’Italia», del 20 aprile 1907, nella rubrica degli spettacoli sono elencati una dozzina di teatri, dall’Argentina, occupato dalla prosa, al Costanzi, dove viene eseguita l’opera Werther di Massenet, al Quirino, dove va in scena l’operetta La Geisha…; solo accanto al teatro Adriano si legge: Cinematografia, senza altre precisazioni.
A Roma le prime proiezioni si svolsero nel 1896 in via del Mortaro, proprio a due passi dal Corso, mentre la prima sala vera e propria fu ospitata a Palazzo Ruspoli, sempre sul Corso, all’angolo con Piazza in Lucina; a questa seguirono l’Americano (poi Metropolitan) e il Lux et Umbra (poi Corso e infine Étoile), la cui facciata, opera di Piacentini (nel 1910), suscitò critiche furibonde, per dei supposti barbarismi architettonici; all’inizio del ‘900, dunque, lungo il tracciato di via del Corso, che ospitava da secoli il Carnevale romano (magistralmente descritto da Goethe), c’erano sicuramente numerose sale cinematografiche, ma pochissime arrivavano a pubblicizzare le proiezioni sul giornale.
Aiutandoci con le fondamentali ricerche di Aldo Bernardini, abbiamo un quadro più articolato, grazie alla sua cronologia delle prime sale cinematografiche stabili in Italia3. A Roma nel 1900 è aperta la Sala Iride, in via del Corso, angolo piazza Sciarra, gestita da Giuseppe Cocanari, attiva fino al 1904; sempre Cocanari, apre nel 1903, in via Celsa, il Cinematografo Artistico Italiano, esistente ancora nel 1907; nel 1904 aprono almeno quattro locali: il Moderno (portici Esedra Terme), il Radium (Esedra di Termini), il Marconi (piazza Vittorio Emanule) di una Compagnia Italo-Giapponese; l’Unvergleichlich (‘Impareggiabile’!) (in via Tomacelli), dal 1905 Sala Italia e dal 1907 Cinematografo Savoia; nel 1905 aprono il Cinematografo Romano (in piazza della Chiesa Nuova), il Nuovo Cinematografo (in via dello Statuto), l’Edison (in piazza dei Cinquecento), l’Excelsior (in via Genova); nel 1906 il Lux et Umbra (a piazza in Lucina, ancora nei pressi del Corso), il Cinematografo della Stampa (a piazza Venezia), un Salone Lumière (a piazza del Gesù) e un Cinematografo Nazionale, poi Sala Italia (in via di Ripetta). Nel 1907 le sale sicuramente identificate a Roma erano una quarantina (ricordo che proprio nel 1907 a Vicenza nell’ex chiesa di San Faustino inizia l’attività del Cinema S. Faustino, poi Odeon, una sala aperta ininterrottamente da oltre 110 anni, grazie alla Società di Mutuo Soccorso, al Cineforum…).
Sempre nel 1907, le società di produzione cinematografica raddoppiano (12 a Torino, 18 a Napoli, 40 a Milano), di conseguenza i titoli si moltiplicano (circa 200 in quell’anno, lunghezza e durata media: 250 metri ossia 10-15’); infine nascono le prime riviste dedicate al cinematografo e alle films (come si chiamavano allora, al femminile, per calco con ‘pellicola’).

Tornando alla serata del senatore Fogazzaro, quali titoli l’avevano deliziato, tanto da cullarlo dolcemente nel sonno? All’epoca, un programma era costituito da otto-dodici titoli, che non comparivano ancora sui giornali, ma soltanto nelle locandine esposte e diffuse all’ingresso della sala (spesso con l’ausilio di imbonitori). Verosimilmente Fogazzaro vide, in venti minuti, solo una parte di un programma, che non doveva essere non molto diverso da quello, diviso in tre parti, reclamizzato da una locandina del cinematografo Hesperia, un locale padovano, proprio nella primavera del 1907:

I.    Cascate di Tivoli / Epopea garibaldina (ricostruzione storica) / Ladri di gioielli (bellissima cinematografia) / Astuzie di ladro (scena comica)
II.   Viaggio nell’Engadina (dal vero) / Lotta per la vita (grandiosa cinematografia morale) / Peripezie di caccia (scena comicissima)
III.  La vita di Mosè (grandiosa cinematografia a colori) / Prestigiatore moderno (interessante e fantastica) / Lavorazione del marmo a Carrara (dal vero, bellissima e istruttiva) / Il bambino è ammalato (scena comica).4

L’alternanza tra i vari soggetti è calibrata: dal documentario (come diciamo oggi) alla fiction, divisa tra dramma e commedia, comica e comicissima, mentre sono significative le sottolineature enfatiche e l’uso dei superlativi.

Dalle poche righe della lettera possiamo arguire che il cinema non fosse una novità per Fogazzaro, che avesse già visto altri spettacoli a Roma e/o a Vicenza, negli anni precedenti, cioè a partire dalle prime proiezioni al Politeama comunale in Campo Marzio, tra ottobre 1896 e giugno 1897,5 ma non abbiamo altra documentazione al riguardo (almeno per il momento). Aggiungo, per chiudere questa prima scheda, che la malattia e la morte dello scrittore, nel 1911, gli hanno impedito di lasciare altre tracce come spettatore e, ovviamente, di far entrare il cinema nella sua narrativa, nella quale sono documentati piuttosto diffusamente la musica e il teatro del tempo, come era accaduto in Piccolo mondo moderno con la descrizione di una fantasmagoria messa in scena in una villa e descritta nel capitolo V, intitolato Numina non nomina,6 anche se, in realtà, quella tecnica, che fondeva le proiezioni delle ombre cinesi e le immagini della lanterna magica (e del cinema fu quindi uno dei tanti precursori), non era così “moderna” e apparteneva al secolo ormai passato, mentre il nuovo sarebbe stato all’insegna del cinema.

sala iride per sito

Una locandina della SALA IRIDE tratta dal volume CINEMA ITALIANO DELLE ORIGINI. GLI AMBULANTI, dell’accademico
Aldo Bernardini

san faustino@sgms

Il Cinema San Faustino di Vicenza, oggi Odeon, in una foto dei primi anni Trenta © Archivio della Società Generale di Mutuo Soccorso di Vicenza

 

II. Fogazzaro e il cinema prima di Soldati

Il cinema delle origini, a cavallo tra Otto- e Novecento, è dapprima un’attrazione in più negli spettacoli del teatro di varietà e un fenomeno da baraccone nelle fiere, accanto ad altri consolidati dalla tradizione, finché non inizia a raccontare delle storie, prendendole dalle opere letterarie, teatrali o romanzesche, e trasformandole in film, cioè in pellicola che gira e rimane impressionata e, una volta sviluppata, rigira e viene proiettata su uno schermo (è andata in questo modo, analogico, fino all’arrivo del digitale, cioè fino a ieri).
Gli anni ‘10 segnano il discrimine, il salto di qualità dallo spettacolo popolare al racconto, testimoniato da Pirandello, che scrive il romanzo intitolato, significativamente, Si gira (poi I quaderni di Serafino Gubbio, 1915), e da D’Annunzio, che collabora a Cabiria (1914), scrivendone le didascalie per una cifra cospicua. Se gli scrittori nobilitano il cinema e ricevono in cambio compensi spesso superiori a quelli dell’editoria, lettori (e lettrici) possono diventare spettatori, anche grazie all’appeal del nome dell’autore che compare accanto al titolo della pellicola: è un’accoppiata che si ripete nel corso della storia della letteratura e del cinema, da Hemingway a Stephen King, dal Signore degli anelli all’Amica geniale, dal moschettiere D’Artagnan al commissario Montalbano.
Insieme a D’Annunzio, Fogazzaro era all’epoca il romanziere italiano più affermato, il più seguito dal pubblico, anche fuori d’Italia,7 perciò per quei primi produttori il suo poteva essere un nome spendibile.
Ne avevo trovato la conferma in una lettera scoperta nel prezioso giacimento del Fondo Fogazzaro della Biblioteca Bertoliana di Vicenza e segnalata ad Antonio Costa (che l’ha pubblicata un quarto di secolo fa!);8 la rileggo, perché è piuttosto interessante, ma soprattutto perché sono ora in grado di contestualizzarla nella storia del cinema italiano del tempo:

Roma, via Sardegna 81, 14 maggio 1909 / Chiar.mo Senatore, / Essendo come consigliere della “Cines” particolarmente incaricato della scelta dei soggetti e persuaso che, malgrado l’umiltà del mezzo, le rappresentazioni cinematografiche siano mezzo utilissimo per la diffusione del buon gusto artistico e della cultura tra noi, e per la conoscenza delle nostre principali opere all’estero, dove contiamo larghissima clientela, sto cercando di elevare l’importanza e la finezza delle nostre rappresentazioni.
E prima di ogni altro desidero rivolgermi a Lei, perché, se l’idea non Le dispiaccia, voglia dirmi se sarebbe disposta a favorirci tanto la riduzione delle opere già edite, quanto la creazione di nuovi soggetti espressamente a questo scopo.
Se Ella in massima aderisce a questa proposta, Le sarei grato se volesse indicarmi le condizioni o per lettera o fissandomi un colloquio, in modo che le trattative avvengano direttamente tra la nostra Società e Lei.
Voglia perdonarmi questa iniziativa ardita e gradire i miei più cordiali e sinceri ossequi / dev.mo Francesco Salimei (BBV, CFo, b. 30, pl. 180).

Non conosciamo la risposta dello scrittore, che stava allora completando la stesura del suo ultimo romanzo Leila e che sarebbe morto nel 1911: quasi sicuramente egli non fornì alcun «nuovo soggetto» (e non è rimasta traccia di un colloquio tra i due), ma molto probabilmente diede il suo assenso per la riduzione di sue opere già edite, tanto che la stessa Cines realizzò nel 1916 la film Malombra, tratta dal romanzo d’esordio di Fogazzaro (1881), con la regìa di Carmine Gallone e l’interpretazione della “diva” Lyda Borelli e di Amleto Novelli. Si trattò ovviamente di una riduzione della complessità del romanzo gotico pubblicato nel 1881, anche se venne salvata la tragica storia d’amore e di delirio della protagonista, ma quell’ora di cinema rimane un campione tuttora significativo della galleria di femmes fatales dell’epoca, nonché una tappa nella elaborazione di un linguaggio di transcodifica delle parole in immagini, a cominciare dalla novità dei primi piani sul viso della diva (i “testoni”).

La casa di produzione Cines era stata fondata nel 1906 come società anonima per azioni, con il concorso del Banco di Roma e l’intervento di membri dell’aristocrazia romana, tra cui il principe Pacelli, zio del futuro Pio XII. Il progetto di un tale investimento, che riguardava anche l’industria tessile, con uno stabilimento a Padova, «fuori Porta Venezia» (che passerà in seguito alla Snia Viscosa, ma ancora negli anni ’50 era designata localmente come “la Cines”), prevedeva un accordo con due industrie francesi, di Lione, una tessile e la Socièté del Plaques et Papiers Photographiques Lumière (quelli!), mentre la direzione artistica delle produzioni era affidata a Gaston Velle, proveniente dalla Pathé Frères, che innalzò il livello delle pellicole, alcune diffuse anche sul mercato tedesco, come La campana, una versione cinematografica della celebre ballata di Schiller.
Nel 1909 il Banco di Napoli entra nella società, il cui nuovo amministratore è il barone Fassini, redattore o firmatario di un ampio Studio sulla situazione Cines, che cita più volte «la speciale competenza acquistata in questo difficile ramo dal Conte Salimei», come responsabile del ramo Negativi; in conclusione lo Studio ritiene «necessario di avere, invece di alcuni artisti mediocri, qualche artista o francese o primario nostro, capace di svolgere convenientemente le due serie di soggetti più manchevoli della nostra produzione: il Romantico e il Drammatico»; tra i «provvedimenti indispensabili» si raccomanda la «nomina del Conte Salimei a Consigliere Direttore del Ramo Cinematografia», che infatti firmerà il bilancio della Cines per il 1910 con Fassini e Stevani.
E dunque, chi era il consigliere e amministratore Salimei, il dirigente del ramo cinematografia della Cines, che scrive a Fogazzaro nel 1909 per chiedergli dei soggetti originali o delle opere già edite?

Il barone Francesco Salimei era nato a Montefiascone nel 1875 e, come membro della “aristocrazia nera” romana, apparteneva di diritto alla corte pontificia; dopo gli studi storico-giuridici, fu assunto al Banco di Roma, dove ebbe svariati incarichi, ma si impegnò prestissimo anche nell’agone politico della capitale nel nome della prima Democrazia Cristiana, quella di don Sturzo: fu consigliere comunale, seguendo anche le iniziative sociali nei ranghi dell’Azione Cattolica (Circolo di San Pietro) e mantenendo legami stretti con il riformismo cattolico dei Padri Semeria e Genocchi, entrambi personalità di riferimento per il “modernismo”, che fu la pecora nera di Leone XIII e del suo successore, Pio X (Giuseppe Sarto, già cardinale di Venezia); fu tra i fondatori delle Case Popolari, delle Scuole Professionali e delle Opere di “Redenzione” dell’Agro Romano, a fianco di Luigi Luzzatti e dei coniugi Franchetti. Nel 1910 fu sospeso dalla Guardia Nobile del Pontefice per essere intervenuto al ricevimento in Campidoglio per il Natale di Roma, su invito del sindaco liberale Nathan, che gli disse, nel 1907: «Lei ha cacciato me e io ho cacciato Lei», ma per le Case Popolari gli confidò: «Io non posso nominare Lei perché il mio partito non me lo permetterebbe, ma nominerò chi mi suggerisce», e Salimei indicò il senatore Franchetti.9
Salimei aveva sposato nel 1907 Gertrud von Hügel, figlia del Barone Federico von Hügel, filosofo e teologo inglese, uno dei più influenti pensatori ai quali facevano riferimento i riformisti cattolici in tutta Europa (il Loisy in Francia, il Tyrrell in Inghilterra…), che fu tra i corrispondenti di Fogazzaro. Proprio al suocero, egli aveva così riassunto le ragioni del suo impegno in una lunga lettera del 1912:

Persuaso che non convenisse più indugiare in un passato irrimediabilmente e fortunatamente sorpassato, lavorai accanitamente per cercare di contribuire ad allargare gli orizzonti e a trasportare tutta una massa amorfa cattolica d’Italia, verso i seducenti problemi religiosi, intellettuali, morali, sociali della vita moderna.

Possiamo dunque considerare anche la lettera del 1909 indirizzata a Fogazzaro un buon esempio del «lavoro accanito» del cattolico Salimei per «allargare gli orizzonti» asfittici del mondo cattolico romano, e italiano.10
Per concluderne il ritratto, aggiungo che, morta Gertrud von Hügel nel maggio 1915, Salimei partì volontario per il fronte; nel dopoguerra, su indicazione di Giuseppe Lombardo Radice, fu designato da Giovanni Gentile a Rettore (= Provveditore) delle scuole di Roma e del Lazio; nel 1927 pubblicò nella «Nuova Antologia» un articolo sulla “questione Romana” e accolse quindi con favore i Patti Lateranensi del 1929, ma fu contrarissimo all’alleanza dell’Italia fascista con la Germania nazista. Nel dopoguerra fu riconfermato consigliere alla Corte dei Conti e seguì con simpatia la politica dei governi De Gasperi.

Ho ricordato che nel 1916, prodotto dalla Cines, apparve sugli schermi italiani un film voluto sicuramente da Salimei: Malombra, con la Borelli, già interprete di Rapsodia satanica, una garanzia di successo testimoniato anche da una canzone dell’epoca: «Ah, quella Lyda Borelli / quando scioglie i capelli…»; ma Fogazzaro potrebbe essere stato introdotto nel catalogo delle produzioni Cines già nel 1910, magari spezzato in due titoli riferibili ad episodi di Piccolo mondo antico: L’intrigo della marchesa e Per la patria (cfr. i titoli dei capitoli del romanzo: «La vecchia signora di marmo» e «Per il pane, per l’Italia, per Dio»).

Bisognerà aspettare gli anni ‘40 perché il cinema rinnovi il suo interesse per i romanzi di Fogazzaro, ancora, in qualche modo, attraverso la Cines, di cui fu presidente, dal 1931 al 1933, il critico Emilio Cecchi, che ne fu cacciato dopo il fiasco di Acciaio, sceneggiato anche da Mario Soldati: nel 1940, uno degli sceneggiatori di Piccolo mondo antico, assieme a Soldati, a Mario Bonfantini e Alberto Lattuada, fu lo stesso Cecchi. E, per chiudere il cerchio Fogazzaro-Cines-Fogazzaro, aggiungo tra i collaboratori di quell’adattamento il nome del vicentino Filippo Sacchi, sebbene non accreditato, in qualità di esperto del “piccolo mondo” locale, dato che aveva frequentato la casa dello scrittore da ragazzo: un berechìn che la contessa Rita Valmarana, moglie di Antonio Fogazzaro, chiamava a testimone delle tante presenze femminili, lettrici e ammiratrici che giravano per casa, definendole le mate de Toni.

malombra

Un’immagine dal film MALOMBRA (1916) di Carmine Gallone, con Lyda Borelli e Amleto Novelli

Note
1 La casa di Pio Molajoni, in Piazza Rondanini, era un «serbatoio di forze spirituali»: tra il 1899 e il 1907 vi si riunivano «ecclesiastici i quali dovevano pur far rumore non piccolo, come don Romolo Murri, e altri, come il Minocchi, effervescente, vulcanico, il Fracassini … il Buonaiuti, il Clementi, il Genocchi»; secondo Nardi, la casa fu per lo scrittore anche un «serbatoio di figure», tanto che il Molajoni aveva intitolato un suo articolo su queste adunanze Le catacombe del «Santo» («Rassegna contemporanea», 1914) (P. Nardi, Antonio Fogazzaro, Milano, Mondadori, 1938, p. 485-6).
2   Cito da A. Fogazzaro, Lettere scelte, a cura di T. Gallarati Scotti, Milano, Mondadori, 1940, p. 607.
3 Cfr. in particolare A. Bernardini, Cinema italiano delle origini. Gli ambulanti, Gemona (Udine), La Cineteca del Friuli, 2001, pp. 167-73.
4 Locandina conservata nella Biblioteca Civica di Padova, Fondo Brunelli, riprodotta in L. Morbiato, Cinema ordinario. Cento anni di spettacolo cinematografico a Padova e in provincia, Padova, Il Poligrafo, 1998, p. 33.
5 Sto citando ancora A. Bernardini, Cinema italiano delle origini, pp. 153 e 157.
6 Cfr. L. Morbiato, 1901-2001: Piccolo mondo moderno, cento anni dopo, «Odeo Olimpico», XXIV (1999-2002), p. 212.
7 Nel 1907 l’Accademia di Svezia era decisa ad attribuirgli il Nobel, salvo preferirgli all’ultimo Carducci, a causa dell’acquiescenza, della remissività di Fogazzaro alla condanna all’Indice (così era parso agli accademici svedesi).
8 A. Costa, Malombra sullo schermo: da Gallone a Soldati, in «Filologia Veneta», IV (1993): Antonio Fogazzaro, pp. 231-50.
9 Un accenno di Fogazzaro in un coevo biglietto ai famigliari suggerisce comuni frequentazioni nell’ambiente romano, se non una conoscenza diretta: «Il thè Franchetti è stato piacevolissimo» (da Roma, 20 maggio 1909; BBV, CFo 13r, b. 24).
10 Essa non era ovviamente disponibile a Riccardo Redi, autore di La Cines. Storia di una casa di produzione italiana (Roma, CNC, 1991), che cita soltanto il cognome del “Conte”, e neppure al padre Giuseppe Bozzetti che ne ha curato un ritratto edificante, Frammenti di vita. Francesco Salimei 1875-1947 (Roma, Tipografia Poligrafica, 1954): sono i volumi dai quali provengono le notizie che ho fin qui riassunto.

Il testo di Luciano Morbiato in pdf