di Cesare Galla
Vicepresidente dell’Accademia Olimpica

Vincenzo Scamozzi pubblicò il suo fondamentale trattato L’idea della architettura universale (“divisa in X Libri”) nel 1615 e morì nell’agosto dell’anno successivo. Il destino vuole che questo volume di saggi, pensato per celebrare il doppio quarto centenario, esca postumo e incompiuto. La morte, avvenuta il 29 luglio 2016, ha infatti impedito a Franco Barbieri di completare questo lavoro, al quale si era dedicato con il sapiente entusiasmo e l’eccezionale energia dei suoi 93 anni. Per la realizzazione di Vincenzo Scamozzi teorico europeo, il decano della Classe di Lettere dell’Accademia Olimpica (vi era entrato come socio corrispondente nel 1959, diventando ordinario nel 1962) aveva affiancato l’ideatore del progetto, Paolo Sanvito, con una curatela tutt’altro che formale o “onoraria”. Da profondo conoscitore dell’architetto e teorico vicentino, il primo studioso a rivelarne la peculiare grandezza, dedicandogli una “pionieristica” monografia nel 1952 (con prefazione di Rodolfo Pallucchini), la sua collaborazione era stata concreta e fervida, improntata alla sottigliezza e alla profondità dell’analisi, sempre aperta alla ricerca di nuove prospettive e pronta alla valorizzazione del lavoro delle più recenti generazioni degli studiosi. Sua anche la scelta dell’immagine di copertina, il magnifico disegno conservato alla Biblioteca Marucelliana di Firenze, relativo alla residenza  fortificata del duca Zbaraski a Zbaráz, ai confini settentrionali della Polonia: una immediata sottolineatura del titolo, nel suo riferimento alla portata europea – quindi all’epoca “globale” – della ricerca e della progettazione scamozziana. Del resto, nel suo quasi settantennale studio sull’architetto vicentino (i primi testi pubblicati risalgono al 1948, una serie di interessanti articoli apparsi sul “Giornale di Vicenza”) Franco Barbieri aveva sempre sottolineato l’aspirazione universalistica dell’impegno di Scamozzi, evidente e programmatica nel titolo del suo trattato. Uno dei suoi più recenti saggi, risalente al 2009, è intitolato non a caso Vincenzo Scamozzi cittadino del mondo. Così lo stesso architetto si era definito nella dedica dell’VIII Libro de L’idea dell’architettura universale, indirizzata ai reggenti della città di Vicenza e agli accademici olimpici.
Per questo, il presente volume – nella cui curatela si è impegnata anche l’accademica olimpica Maria Elisa Avagnina – è a tutti gli effetti l’ultimo lavoro di Franco Barbieri, e per questo appare giusto parlare di libro postumo, dopo che purtroppo si è dovuto rinunciare a fare dell’uscita dell’edizione un’occasione di festa e di omaggio allo studioso vicentino nella ricorrenza del suo novantaquattresimo compleanno, nell’ottobre 2016.
L’incompiutezza deriva dal fatto che inevitabilmente manca nel volume il saggio introduttivo che lo storico dell’arte vicentino si proponeva di scrivere per “tirare le fila” della vasta elaborazione storica, scientifica e documentale dei numerosi e qualificati contributi compresi nella pubblicazione, doverosa iniziativa editoriale da parte dell’Accademia Olimpica, che affianca quelle proposte dal Cisa Palladio, con la mostra Nella mente di Vincenzo Scamozzi. Un intellettuale al tramonto del Rinascimento e con la pubblicazione di un numero monografico dei suoi Annali di architettura. Si tratta infatti dell’architetto che disegnò la scenografia del Teatro voluto dagli accademici e progettato da Andrea Palladio. E che potrebbe avere lasciato un ulteriore “segno” appena fuori dallo spazio scenico, all’ingresso del giardino. Il saggio del giovane Luca Trevisan, inserito nel volume a lavori già molto avanzati per esplicita volontà proprio di Barbieri, propone infatti l’attribuzione al catalogo scamozziano del portale che dà sulla piazza Matteotti.
L’indice di Vincenzo Scamozzi teorico europeo è idealmente diviso in tre ampie sezioni dedicate rispettivamente alle opere, perdute o esistenti, analizzate sotto diverse angolature di ricerca, alla ricezione e all’eredità, sia sul piano teorico e concettuale sia su quello dell’influenza pratica. Dopo l’introduzione di Paolo Sanvito, «Antimanierismo» o architettura della «sapientia» (una chiave di lettura poco usuale, specie per i collegamenti con il mondo scientifico partenopeo), la prima parte comprende saggi di Filippo Camerota (I Sei libri di prospettiva di Vincenzo Scamozzi. Il grande assente della letteratura prospettica rinascimentale), di Loredana Olivato (I Discorsi sopra l’antichità di Roma di Vincenzo Scamozzi: per la storia di una vicenda editoriale), ancora di Sanvito (Theatre Theory and Acoustics in Sabbioneta. The invention of an experimental architectural typology), di M. Elisa Avagnina («e per molti e lunghi viaggi, per studio di questa professione». Scamozzi e il Sommario del Viaggio da Parigi in Italia), di Hubertus  Günther (Scamozzi “il cosmopolita”) e di Martina Frank (Scamozzi , il collezionismo veneziano e «l’amor di patria» nelle pagine de L’Idea e in altre fonti).
La seconda parte ospita gli interventi di Werner Oechslin (Scienza universale versus dottrina architettonica e sistema di  regole. La storia alterna e accidentata della fortuna de L’Idea della architettura universale di Scamozzi), di Andrew Hopkins (Searching for Palladio, discovering Scamozzi: Arundel, Jones, and Burlington) e di
Carmelo Occhipinti (Discussione settecentesca intorno a Vincenzo Scamozzi. Tra
Algarotti, Temanza e Milizia, 1744-1786). Seguono i lavori di Konrad Hottheym («The best and most competent at observing proportion». Scamozzi’s posthumous success in 17th century Holland), di Hans Hubert (Scamozzi e i paesi di lingua tedesca) e di Barbara Arcizweska (Vincenzo Scamozzi and architectural discourse in the Polish-Lithuanian Commonwealth 1600-1800) e infine un secondo contributo di Hubertus Günther (Il valore delle glosse redatte da Scamozzi ai libri in suo possesso. L’esemplare dei Libri del Serlio al Zentralinsitut für Kunstgeschichte di Monaco) e il già citato saggio di Trevisan, intitolato Dalla teoria al progetto: Vincenzo Scamozzi interprete e divulgatore della lezione di Sebastiano Serlio.
Come si può capire, una ricognizione ampia e approfondita, che indaga in particolare la costante tensione di Vincenzo Scamozzi a fissare la sua idea di architettura in una teoria generale che superasse il rapporto puramente estetico con la tradizione rinascimentale (e attraverso di essa con l’antichità) e fornisse strumenti concreti per l’interpretazione della realtà, utili a soddisfare le esigenze dell’abitare non meno che della rappresentatività sociale o della funzione religiosa. E poi, l’accento è posto sul ruolo che l’architetto vicentino disegnò per sé lungo tutta la sua vita: un ruolo decisamente ante litteram, di intellettuale a tutto tondo, di lettore sempre profondo e pensoso (come dimostrano i suoi appunti sui libri che possedeva), di “creativo colto”, diremmo oggi, sempre attento alla “praticità” delle sue idee.
Nato per sottolineare l’interesse e l’importanza di una personalità tanto complessa e significativa a quattro secoli di distanza, questo Vincenzo Scamozzi teorico europeo ha avuto in triste sorte di diventare anche un omaggio alla sapienza e alla passione culturale di Franco Barbieri, pochi mesi dopo la sua morte, nel nome dell’artista su cui in particolare lo studioso vicentino ha lasciato il segno di un magistero autenticamente universale.